3. Origine e classificazione
La maggior parte delle cavità oggetto del presente lavoro sono dovute all'attività eruttiva dell'Etna.
Condizioni necessarie per la formazione di cavità vulcaniche sono l'emissione di lava ed una opportuna fluidità di essa. Queste condizioni sono spesso assenti nei vulcani detti sialici, i quali presentano magmi viscosi e attività prevalentemente esplosiva. Sono invece pienamente realizzate nei vulcani detti simatici i quali presentano magmi fluidi e attività prevalentemente effusiva.
L'Etna, pur presentando un'attività molto varia, appartiene al secondo gruppo ed in questo fatto trova spiegazione l'esistenza di tante cvità nelle sue falde.
Per mettere in evidenza questo particolare tipo di speleogenesi accenniamo brevemente al meccanismo di una eruzione laterale etnea [1].
In condizioni normali il condotto eruttivo del cratere centrale è aperto e colmo di magma. il quale subisce una continua, lenta degassazione con moderate esplosioni. Durante un'eruzione laterale si verificano vari fenomeni. La pressione esercitata dal magma sulle pareti del condotto vulcanico centrale vince la resistenza di queste, favorita da movimenti sismici e tettonici. Si apre così nell'edificio vulcanico una frattura verticale, dall'interno verso l'esterno, nella quale si incunea il magma fino a raggiungere la superficie.
All'esterno la frattura si presenta come un crepaccio largo qualche metro e lungo anche più chilometri.
Nella parte a monte della frattura. da una serie di bocche allineate, fuoriescono con violenza i gas magmatici, trascinando frammenti di rocce preesistenti e brandelli di lava.I prodotti solidi così emessi, detti materiali piroclastici. si vanno accumulando attorno a queste bocche esplosive e formano dei rilievi caratteristici del paesaggio etneo detti coni laterali o secondari [2].
Tali attività, esplosiva ed effusiva, si protraggono per un certo tempo e diminuiscono poi fino a cessare del tutto. Nella frattura eruttiva resta del magma che si va consolidando, ma una parte superficiale della frattura può restare vuota ed accessibile attraverso le bocche esplosive o quelle effusive [3], dando origine ad un primo tipo di grotta vulcanica [4].
Come esempio di cavità etnea di questo tipo descriviamo l'Abisso dell'Eruzione del 1892 (SiCT122) formatosi nell'apparato eruttivo occidentale dell'eruzione che diede origine ai Monti Silvestri [5].
Sul fondo di un cratere si apre un pozzo di una ventina di metri e con un orifizio circolare largo non più di due metri. A re metri di profondità il pozzo si allarga notevolmente presentando una forma a campana. Le pareti sono costituite da materiali piroclastici saldati che i distaccano facilmente. Al fondo il pozzo si restringe nuovamente e si presenta come una fessura larga un metro e mezzo. Questo restringimento segna il passaggio dal condotto esplosivo, contenuto nell'edificio del cono secondario, alla sottostante frattura eruttiva (fig.22).
Le pareti di questa frattura sono rivestite da un intonaco di lava abbastanza stabile. Dal lato nord la frattura è occlusa a pochi metri dalla verticale del pozzo. Dal lato sud si scende lungo un pendio di pietre di varie dimensioni mescolate a sabbia fino ad arrivare ad una strettoia causata da un lastrone di lava che rivestiva una parete. Al di là della strettoia si può scendere verticalmente nella frattura per trentacinque metri fino ad arrivare sul fondo costituito da lava a superficie coriacea e frammentaria.
Anche qui in direzione nord la frattura è occlusa a una qindicina di metri mentre dal lato sud è percorribile per quasi duecento metri. In questo tratto occorre scendere e risalire più volte a causa del diverso livello del pavimento. La cavità termina dove la pareti della frattura si avvicinano progressivamente l'una all'altra fino ad impedire il passaggio.
Benchè gli apparati eruttivi dell'Etna siano numerosissimi, solo in pochi di essi si aprono cavità di questo tipo; la maggior parte dei crateri secondari infatti al termine della loro attività restano occlusi dal materiale piroclastico. Abbiamo potuto esplorare, oltre all'abisso sopra descritto, la Grotta delle Palombe (SiCT003), il Pozzo di Monte Silvestri Inferiore (SiCT002), il Pozzo dell'Eruzione del 1780 (SiCT085) e la Grotta di Monte Giacca (SiCT145).
Assai rari sono pure i casi di fratture eruttive raggiungibili attraverso le bocche effusive. Ne è un esempio la Grotta di Serracozzo I (SiCT065), dove tuttavia non siamo potuti penetrare che per pochi metri perchè lo stato di estrema instabilità delle pareti ne rende pericolosa l'esplorazione.
La Grotta di Serracozzo II (SiCT066), che costituisce la bocca effusiva più bassa e principale dell'eruzione del 1971, ci ha consentito di penetrare nella frattura per una quindicina di metri. Le pareti di questa cavità sono rivestite da un sottile intonaco di lava, levigato e vetroso; dove questo rivestimento è caduto si osserva il terreno sabbioso nel quale si è aperta la frattura, di colore rosso per l'alta temperatura alla quale è stato sottoposto.
In Vinassa de Regny ed altri (1912), si trova la descrizione della Grotta della Bocca effusiva del 1910 (SiCT135), bocca effusiva principale di quella eruzione.
Per indicare le cavità formatesi nelle bocche effusive Cucuzza Silvestri (1957) propone il termine di gallerie di efflusso.
Prendiamo adesso in esame le cavità, di gran lunga più numerose, che si formano nelle colate laviche.
La lava, una volta emessa dalle bocche effusive (o traboccata dall'orlo del cratere centrale), scorre lungo le pendici del vulcano per effetto della forza di gravità.
La lava scorre più rapidamente nella parte centrale della colata, più lentamente ai margini dove si raffredda e si solidifica. Si formano così due argini tra i quali la lava fluida continua a scorrere. In questo modo hanno origine i canali di scorrimento.
In seguito al raffreddamento la parte superficiale della colata tende a solidificarsi, formando un involucro coibente, detto anche sacco di scorie, che rallenta la perdita di calore della parte centrale. Le colate laviche si muovono quindi mantenendo nella loro parte interna temperatura e fluidità di gran lunga maggiori che nella loro crosta esterna semisolida.
Può accadere che la parte esterna della colata si rapprenda definitivamente, mentre la parte interna continua a fluire come in un tubo. Col cessare del flusso lavico il tubo può svuotarsi parzialmente o completamente per un tratto più o meno lungo, formando in questo modo, se la volta non è crollata, una galleria di scorrimento [6].
Le gallerie di scorrimento sono cavità a sviluppo orizzontale con pendenza verso il lato valle del vulcano ed una sezione di tipo semiellittico con l'asse maggiore orizzontale. La sezione semiellittica riteniamo sia dovuta allo svuotamento parziale del tubo; sezioni ellittiche o circolari, frequenti nelle gallerie con accentuata pendenza, fanno invece pensare ad uno svuotamento completo.
Il pavimento di questi ambienti è costituito da lava a superficie unita con formazione di corde, mammelloni. tavolati (fig.13), oppure lava a superficie scoriacea con scorie saldate o frammentarie (fig.19). Il suo aspetto è pertanto analogo a quello delle superfici esterne delle colate, studiato da molti autori./
Le pareti e la volta delle gallerie di scorrimento appaiono formate da una serie di intonaci di lava di vario spessore: questo fatto è particolarmente evidente là dove alcuni di questi intonaci sono saldati alla parete nella parte bassa, mentre sono distaccati da essa nella parte alta e piegati verso l'interno della galleria dando luogo a lamine di lava. A volte le lamine sono sottili fogli di lava di pochi centimetri quadrati e tanto fitti da conferire alla parete un aspetto squamoso (fig.4). Altrove invece le lamine sono spesse diversi centimetri e interessano diversi metri della galleria. In alcune grotte vi sono lamine arrotolate e giacenti ai piedi della parete in guisa di veri e propri rotoli cilindro-conici la cui lunghezza è dell'ordine di diversi metri ed il cui diametro varia da pochi decimetri ad un metro e più (fig.11 e fig.13). Sulla volta le lamine si presentano come brandelli di lava di qualche centimetro di lunghezza, irregolari e pungenti, fragili al punto da poterli spezzare con le ani, spesso appiattiti e simili a drappeggi (fig.2).
Secondo Ponte (1922) le lamine sono dovute al fatto che « una parte della lava fluente resta attaccata per adesione alle pareti della galleria, le quali man mano vanno ingrossandosi con il raffreddamento e la successiva adesione di altra lava »
Secondo Rittmann per effetto del gradiente di temperatura esistente all'interno di una colata lavica in movimento e in conseguenza delle sue caratteristiche fisiche e chimiche la lava si separa in strati a forma di tubo, disposti l'uno dentro l'altro, i quali si muovono con una certa indipendenza e velocità decrescente verso l'esterno. Col cessare dell'afflusso di lava, gli strati interni, più caldi e fluidi, scorrono via. gli strati esterni, più viscosi. restano in sito, ma sono sufficientemente pastosi da staccarsi parzialmente per effetto della gravità.
Spesso le pareti e la volta di una galleria di scorrimento non mostrano lamine sporgenti. bensì un'unica superficie levigata e vetrosa con delle formazioni che ricordano le stalattiti delle grotte carsiche (fig.1). Questo aspetto è attribuito ad un fenomeno di rifusione delle superfici che si verifica quando per un certo periodo di tempo la lava scorre nella galleria a pelo libero, occupando solo la parte inferiore della sezione. In queste condizioni i gas che si sprigionano dalla lava danno luogo a reazioni esotermiche nell'interno della galleria che provocano un innalzamento della temperatura tale da rendere fluido un sottile strato della volta e delle pareti fino a provocarne il gocciolamento. Si formano così le stalattiti da rifusione che, pur avendo origine ben diversa dalle stalattiti formate per concrezionamento nelle grotte carsiche, ne ricordano l'aspetto. Esse appaiono come gocce pendenti dal soffitto, lunghe uno o due centimetri, spesso allineate in file parallele alla direzione di sviluppo della galleria fino a costituire serie di creste longitudinali. Abbiamo anche osservato che queste stalattiti sono più numerose e lunghe in una stessa galleria là dove la volta è più vicina al pavimento; ciò confermerebbe che è proprio quest'ultimo con il suo calore a fondere o comunque a rendere più fluide le superfici sovrastanti. Anche sulle pareti si hanno delle formazioni del tipo descritto, che risultano meno appariscenti in quanto aderiscono alle pareti stesse.
Stalattiti da rifusione e lamine possono coesistere nella stessa galleria. Nella Grotta dell'Oliveto Scammacca (SiCT001), in prossimità dell'ingresso, la parete orientale presenta nella parte bassa diverse lamine sporgenti e sulla volta stalattiti da rifusione; mentre nella parte intermedia la parete mostra lamine dove la rifusione si va accentuando man mano che si procede verso l'alto. Riteniamo che ciò sia da attribuirsi al graduale svuotamento della galleria, durante il quale le superfici della volta e delle pareti hanno subito l'effetto della rifusione per un tempo via via crescente dal basso verso l'alto.
La sezione delle gallerie di scorrimento non supera sull'Etna le dimensioni di una comune galleria ferroviaria (fig.14). La lunghezza può raggiungere qualche centinaio di metri. In altri vulcani grotte di questo tipo raggiungono dimensioni maggiori (Perret, 1950; Compxon, 1962; Bravo, 1964; Grein & Short, 1971).
Non sempre le gallerie di scorrimento si articolano in un solo ambiente; su questo schema principale si sviluppano numerose varianti costituite da gallerie laterali, piccoli pozzi, allargamenti. Non è raro il caso che la grotta si divida in più gallerie anche disposte su piani diversi o addirittura sovrapposte (fig.15).
Alcune grotte formatesi all'interno di colate laviche non mostrano evidente la forma di galleria sopra descritta, ma hanno piuttosto l'aspetto di sale. Le pareti e la volta di queste cavità non presentano stalattiti da rifusione ma solo lamine. Sono di questo tipo la Grotta della Catanese I (SiCT037), la Grotta della Neve (SiCT045), e la Grotta delle Palombe di Pedara (SiCT074). Riteniamo che queste grotte si siano formate in seguito a limitati movimenti verticali di lava ancora pastosa che si è staccata da lava più rigida sovrastante. A queste grotte, nelle quali non sembra ci sia stato uno scorrimento di lava e che forma di galleria non hanno, poco si addice il termine di galleria di scorrimento e sarebbe, a nostro avviso, più appropriato termine di cavità di svuotamento. Possiamo considerare di questo tipo anche la piccola sala laterale situata ad un livello più alto nella Grotta Immacolatella I (SiCT015). La lava che con il suo spostamento ha dato origine alla cavità è in questo caso ben visibile e appare come una massa che si affaccia nella galleria principale.
Le gallerie di scorrimento presentano normalmente fratture sulla e sulle pareti che sono da attribuirsi alla contrazione subìta dalla durante il raffreddamento. Queste fratture si presentanocome lineari a bordi netti e senza risalto, larghe da pochi millimetri qua1che centimetro (fig.1). Esse sono visibili anche sul pavimento quando questo è costituito da lava a superficie unita.
Normalmente l'ingresso delle gallerie di scorrimento è costituito da un'apertura da crollo a carico della volta o dalle pareti, coeva o no alla formazione della cavità (fig.17). Se il crollo è avvenuto dopo il raffreddamento delle lave, le superfici di frattura hanno spigoli vivi. Sulla verticale della frattura sono ammassati i frammenti della volta e de1le pareti originarie: alcuni di questi mostrano su una faccia i caratteristici fenomeni di rifusione. Se il crollo avviene invece nel corso della eruzione, il materiale franato è asportato dalla lava che scorre nella galleria. L'intenso calore presente al momento provoca una parziale rifusione delle superfici di frattura i cui spigoli appaiono questo caso più smussati. Vi sono gallerie di scorrimento lavico che hanno diversi ingressi così come, presumibilmente, vi sono cavità che sono mai venute alla luce. Spesso accade che una di queste cavità viene scoperta accidentalmente durante gli scavi per la costruzione di strade o di edifici.
La lava, nei pressi delle bocche effusive, può liberare ancora una certa quantità di gas. dando luogo ad una modesta attività esplosiva. Nel fuoriuscire attraverso la crosta lavica già consolidata i gas trascinano brandelli di lava che ricadendo si ammucchiano formando conetti di scorie saldate (hornitos). Questi conetti sono di dimensioni i minori di quelle dei coni secondari, presentano pendici molto più ripide e sono costituiti da caratteristici brandelli di lava a forma focaccia sovrapposti e saldati. Questi conetti conservano talvolta al loro interno un camino che dà accesso alla sottostante galleria di scorrimento. E' questo che si verifica al Pozzo di Monte Vituddi Superiore (SiCT061).
Un altro modo in cui si possono formare delle cavità nelle colate laviche è quello spiegato da Cucuzza Silvestri (1957) nella descrizione dell'apparato eruttivo del 1819 (SiCT052), per il quale l'Autore propone il termine di galleria originata da trabocchi. In seguito a delle variazioni della portata dei flusso la lava può variare di livello nel canale di scorrimento. Ad ogni trabocco nuovo materiale viene aggiunto agli argini fino a che questi si saldano tra loro. Un esempio di tale formazione è a nostro parere la piccola cavità situata nelle immediate vicinanze della Grotta delle Bocche del Citelli I, da noi non catalogata per le sue modeste dimensioni.
Per concludere, possiamo distinguere (Poli, 1959) grotte che si formano negli apparati eruttivi e grotte che si formano nelle colate laviche. Esistono comunque grotte dove si passa senza soluzione di continuità dalla frattura eruttiva ad una galleria di scorrimento, così come avviene nella Grotta di Serracozzo I (SiCT065) (fig.8). Inoltre, alcuni fenomeni legati al fluire delle lave, quali la formazione di lamine e le superfici di rifusione, si osservano anche nelle grotte formate negli apparati eruttivi, come avviene nella Grotta delle Palombe (SiCT003) e nella Grotta di Serracozzo II (SiCT066).
Nei terreni vulcanici esistono anche delle cavità la cui origine non è dovuta alla attività eruttiva, bensì all'azione di agenti esterni su lave da tempo consolidate.
Le più note sono le grotte costiere dovute all'azione erosiva del mare, come la celebre Grotta delle Palombe di Santa Maria La Scala (SiCT133†)
Altre di dimensioni minori sono dovute all'erosione delle acque correnti superficiali. Una colata lavica, a raffreddamento avvenuto, consta di una parte centrale di roccia compatta, variamente fessurata, racchiusa anche inferiormente da un involucro di lava scoriacea e frammentaria. Quando l'erosione interessa la base della colata, ed evntualmente anche il terreno su cui riposa, si formano dei tipici ripari sotto roccia. A questo meccanismo sono dovute molte piccole cavità nelle pareti dei numerosi e profondi valloni dell'Etna, come alla quale la Grotta dei Faggi (SiCT011) e la Grotta di Scilà (SiCT025), fig.12). Sono invece dovute ad erosione eolica le grotte che abbiamo visitato nei tufi di Linosa; alcune di queste sono abbastanza grandi da essere adibite a palmento [7].
Esistono infine delle cavità che furono scavate dall'uomo sotto le colate laviche per l'estrazione della terra rossa o azolo [8]. Queste cavità sono delle piccole miniere a sviluppo orizzontale, lunghe qualche centinaio di metri ed articolate in diverse gallerie. Una di queste miniere sita in Catania sotto le lave del 1669 è descritta da Gurrieri (1933): ne abbiamo visitate altre nel comune di San Giovanni Galermo e nel comune di Pedara.
Altra cavità artificiale è quella scavata nei primi anni del 1700 per ricuperare una statua della Vergine in una chiesa di Nicolosi sepolta dalle lave del 1669. Nelle vicinanze della grotta (SiCT138), tutt'oggi visitabile, si trova l'attuale Santuario della Madonna di Mompilieri. edificato a ricordo del miracoloso ritrovamento.
Le grotte laviche, sia che esse si formino negli apparati eruttivi o nelle colate laviche, hanno una genesi del tutto indipendente da fatti idrogeologici e l'acqua è in esse presente in quantità molto modeste.
I terreni lavici che formano l'edificio vulcanico presentano una notevole permeabilità; infatti nelle grotte etnee il percolamento è fortemente influenzato dalle condizioni metereologiche esterne. Raro è l'accumularsi di queste acque in pozzanghere, possibile là dove il pavimento della grotta sia fangoso e quindi impermeabile, come nella Grotta del Santo (SiCT032) e nella Grotta del Burrò (SiCT024).
Le cavità che si trovano ad una quota dove la neve è presente per una parte dell'anno si riempiono di neve nella zona dell'ingresso, il quale però non sempre resta occluso. In questo caso è frequente la formazione di stalattiti di ghiaccio che pendono dalla volta. Non è raro inoltre che le nevi accumulatesi nelle grotte durante l'inverno sopravvivano alla stagione estiva e diano persino luogo a ghiacciai permanenti come nella Grotta del Manganello (SiCT139†) e nella Grotta del Gelo (SiCT026).